Il cambiamento climatico rappresenta una sfida globale complessa, capace di innescare risposte ecologiche articolate su diversi livelli dell’organizzazione biologica. Per analizzarne gli effetti e ridurre l’influenza di fattori confondenti, la ricerca si è spesso focalizzata su ecosistemi isolati, come quello sotterraneo, considerato un modello ideale per lo studio in situ delle diverse dinamiche ambientali e biologiche, anche in relazione all’impatto delle attività antropiche.
Grazie alla loro stabilità termica e al parziale isolamento dagli influssi superficiali, gli ambienti ipogei offrono, infatti, una lente di osservazione particolarmente sensibile per rilevare le alterazioni ambientali indotte dai cambiamenti climatici.
Ecosistemi sotterranei come laboratori naturali
Solo di recente, tuttavia, la comunità scientifica ha iniziato a rivolgere una crescente attenzione agli ecosistemi sotterranei, sebbene il loro potenziale fosse già stato riconosciuto nel 1969 da Poulson e White, nel contributo pionieristico The Cave Environment, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature.
Questa rinnovata attenzione ha stimolato lo sviluppo di vari modelli teorici, finalizzati a comprendere se e in che modo il riscaldamento climatico potesse influenzare il microclima sotterraneo.
Le previsioni formulate sono state successivamente confermate sia da simulazioni modellistiche che da osservazioni empiriche, le quali hanno dimostrato come le alterazioni climatiche di origine antropica stiano già producendo effetti misurabili anche nel sottosuolo, determinando un aumento della temperatura interna. Tuttavia, tali variazioni si manifestano con un certo ritardo rispetto alla superficie, a causa della lenta conduzione del calore attraverso la roccia.
Oltre alla temperatura, anche l’umidità relativa rappresenta un parametro critico in via di alterazione, in particolare nelle aree carsiche mediterranee. In questi contesti, la diminuzione delle precipitazioni e la riduzione dei processi di infiltrazione possono comportare un calo significativo dell’umidità interna delle grotte, con potenziali impatti sulla stabilità del microclima e sugli organismi che popolano tali ambienti.
La vita sotterranea: estremamente adattata, estremamente vulnerabile
A risentire maggiormente delle progressive modificazioni del microclima sotterraneo sono le specie strettamente specializzate alla vita nel sottosuolo, le quali mostrano elevati livelli di adattamento a condizioni ambientali stabili. Tra queste rientrano i troglobionti, organismi che vivono esclusivamente in ambienti terrestri sotterranei e gli stigobionti, le loro controparti acquatiche.
Frutto di un lungo processo evolutivo in condizioni di oscurità, isolamento e limitata disponibilità energetica, queste specie hanno sviluppato adattamenti morfologici, fisiologici e comportamentali altamente specializzati. Tra le risposte evolutive più comuni figurano la regressione o perdita degli occhi, la riduzione della pigmentazione, il rallentamento del metabolismo, la maturazione tardiva e una notevole longevità.
Tuttavia, nel contesto dei cambiamenti climatici e delle crescenti pressioni esercitate dalle attività antropiche, la capacità delle specie ipogee di rispondere agli stress risulta fortemente limitata. Questi organismi condividono una serie di tratti che riducono la loro plasticità di risposta, tra cui una bassa variabilità genetica, una ridotta flessibilità metabolica e una fecondità contenuta. A ciò si aggiunge la dimensione spesso esigua delle popolazioni: specie con abbondanze ridotte presentano infatti un potenziale di risposta molto limitato di fronte ai cambiamenti ambientali.
Inoltre, la dispersione spaziale risulta fortemente limitata dall’isolamento geografico, intrinseco dei sistemi sotterranei, e dalla scarsa mobilità delle specie che li abitano. Sebbene alcuni organismi possano compiere spostamenti verticali stagionali all’interno delle grotte, la migrazione verso settori più profondi comporta elevati costi energetici, in ambienti dove le risorse tendono a diminuire con l’aumentare della distanza dalla superficie.
Essendo ambienti privi di luce, gli ecosistemi sotterranei dipendono dall’esterno per il proprio sostentamento energetico. Sebbene in alcuni casi vi sia un contributo alla produzione primaria da parte di organismi chemioautotrofi – microganismi capaci di ricavare energia da reazioni chimiche inorganiche anziché dalla fotosintesi – tale apporto è generalmente limitato. Il flusso energetico si basa principalmente sull’ingresso di materia organica trasportata passivamente da vettori abiotici (come acqua e/o correnti d’aria) o da organismi (uomo compreso). Di conseguenza, il bilancio energetico degli habitat ipogei risulta soggetto a variazioni stagionali e può essere fortemente influenzato dai cambiamenti nell’uso del suolo in superficie.
Oltre agli effetti diretti, il cambiamento climatico può causare impatti indiretti significativi, come l’introduzione di specie aliene o patogene e la modifica dei regimi idrologici sotterranei attraverso fenomeni di aridificazione.
Numerosi studi recenti hanno evidenziato risposte fisiologiche eterogenee all’innalzamento della termperatura tra i diversi organismi sotterranei. Molte specie ipogee presentano una tolleranza termica ristretta (stenotermia, dal greco stenós, "stretto", e thérmē, "calore"), una strategia adattativa che consente l’ottimizzazione delle funzioni fisiologiche entro un intervallo termico molto limitato, ma le rende vulnerabili anche a lievi variazioni di temperatura (±2 °C). Tuttavia, la possibilità di trarre conclusioni generali è ostacolata dalla mancanza di analisi comparative su scala filogenetica, che potrebbero aiutare a comprendere meglio le variazioni nella tolleranza termica tra gruppi evolutivamente distinti.
Nel buio della conservazione: quando i dati mancano
Nonostante la crescente evidenza delle minacce legate al cambiamento climatico, mancano ancora programmi sistematici di monitoraggio biologico, essenziali per valutare l’entità delle trasformazioni in atto e definire strategie di conservazione efficaci. Inoltre, la carenza di sistemi di monitoraggio abiotico a lungo termine, con reti spesso frammentarie e non coordinate, limita la capacità di rilevare e interpretare accuratamente gli effetti del cambiamento climatico negli ambienti sotterranei.
Colmare le attuali lacune conoscitive è essenziale non solo per proteggere la biodiversità sotterranea, ma anche per comprendere appieno il ruolo cruciale degli ecosistemi ipogei nel garantire il benessere umano. Le forme di vita qui ospitate, oltre ad essere altamente specializzate e vulnerabili, svolgono funzioni ecologiche fondamentali, come la depurazione naturale delle acque e la conservazione delle falde sotterranee, principale riserva globale di acqua potabile.
Pertanto, risulta necessario promuovere approcci integrati e collaborazioni interdisciplinari che coinvolgano speleologi, ecologi, climatologi e altri specialisti, al fine di costruire una visione condivisa e operativa sul futuro di questi ambienti unici.
In questo scenario si inserisce il gruppo Underground Climate Change (UCC), che si propone di ottimizzare le risorse disponibili, coordinare le competenze esistenti e attivare reti di collaborazione per rendere lo studio del cambiamento climatico nel sottosuolo più efficace, sistematico e connesso alle sfide ambientali globali.